Se una cosa, nel mondo faunistico internazionale, appare essere certa, è che la biodiversità è oggi giunta in una condizione di serio rischio. Al di là delle responsabilità individuali o collettive, è altresì bene ricordare come siano sempre più insistenti gli appelli alla conservazione dell’attuale biodiversità, con provvedimenti utili per arrestare l’impoverimento delle specie animali, in grado di condurre al collasso molte comunità ambientali.
L’ultimo appello, in ordine di tempo, è quello formulato da Philip Seddon, dell’Università di Otago, in Nuova Zelanda, secondo cui la situazione può ancora cambiare ricorrendo, tuttavia, ad interventi più radicali, che comprendano la traslocazione di specie: una pratica che, in termini estremamente sintetici, consiste nel trasferimento degli animali e delle piante da un habitat all’altro.
Insomma, per affrontare le estinzioni di specie nelle aree più critiche del globo, si sono quindi rese necessarie forme di gestione più intensive di quelle già formulate nel passato: tra di esse vi è proprio la traslocazione di specie, che può avvenire inserendo un numero predeterminato di esemplari in una popolazione di “conspecifici”, o ancora reintroducendo una popolazione da “zero” in un habitat in cui la stessa era stata dichiarata estinta.