Gatti uccisi per la pelliccia, nuova inchiesta shock dalla Cina

Dalla Cina una nuova vicenda che fa discutere: gatti rinchiusi e uccisi per farne pelliccia da destinare al mercato internazionale.

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L’associazione Animal Equality ha recentemente diramato un’inchiesta shock sul business legato al commercio di pelli di animali domestici. Numerosissimi gatti randagi (o rubati ai legittimi proprietari), che vengono rinchiusi in anguste gabbie e massacrati al fine di confezionare dei capi di abbigliamento o pupazzi di peluche, che finiscono sui mercati internazionali e, dunque, anche su quello italiano.

Secondo l’associazione ogni anno in Cina vengono uccisi 10 milioni di cani e 4 milioni di gatti. Un business in parte nascosto e in parte palese, visto e considerato che nel Paese asiatico il commercio di pellicce e carne di gatti non è affatto illegale, e può basarsi su un’opinione pubblica non totalmente contraria a questo commercio.

Qualcosa, però, sta cambiando. E il merito va proprio alle associazioni come Animal Equality, che da anni cercano di sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo, facendo forza sull’appoggio di qualche media. Proprio tre anni fa, grazie agli sforzi dell’associazione, la polizia nazionale intervenne per cercare di arginare i fenomeni non legali. “Fino a quando il governo cinese non proibirà questo commercio, per la chiusura dei mercati, ristoranti e macelli interessati si potrà far leva solo sul rispetto delle leggi in materia di bio-sicurezza e tassazione” – ricordano dall’associazione, come riportato sul settimanale L’Espresso.

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Gli sforzi e gli impegni dell’associazione vanno ancora avanti, con l’obiettivo finale di fermare il commercio di carne e pellicce di cani non solamente in Cina, quanto anche nel resto del mondo. Sempre sul settimanale ricorda Matteo Cupi, direttore esecutivo di Animal Equality Italia: “È importante sottolineare come il numero di attivisti e persone di nazionalità cinese che protestano contro queste atrocità cresca velocemente”, considerando altresì che “in Cina non esistono leggi che proteggono gli animali: la pressione internazionale può perciò svolgere un ruolo nevralgico per spingere il governo nazionale a porre fine a questa crudeltà”.